La riscoperta a Biella di un pittore umbro |
di Alessandra Montanera |
L’unica testimonianza finora nota del passaggio biellese di Girolamo Marinelli era rappresentata Se fino ad oggi la presenza di Mario Zuccaro «otrantinus» rappresentava il caso più noto e meglio studiato di un artista di formazione centroitaliana giunto a lavorare nel Biellese nei primissimi anni del Seicento, è ora possibile aggiungere alle vicende artistiche locali un interessante capitolo, immediatamente successivo, segnato dall’arrivo a Biella di Girolamo Marinelli, originario di Assisi.da un’opera conservata presso la chiesa di Santa Marta di Sordevolo, in cui l’artista lasciava testimonianza di sé, firmandosi «Girolamo Marinelli romano pi[n]geba[t]» (fig. 1). Oggi, alla luce delle ricerche archivistiche da me condotte e incoraggiate dal “Centro Studi Generazioni e Luoghi Archivi Alberti La Marmora”, è stato possibile ricostruire la vicenda artistica biellese del Marinelli e il suo legame con la famiglia Ferrero, verosimilmente il tramite per il suo arrivo a Biella. Sarà dunque questa la sede per presentare, necessariamente nelle sue linee generali, i dati emersi ed una prima contestualizzazione critica degli stessi. Girolamo Marinelli non è certo sconosciuto alla letteratura artistica umbra, anche se non risulta mai elogiato e annoverato tra gli artisti di prim’ordine. Le fonti settecentesche lo dicono nato alla fine dell’ultimo decennio del XVI secolo, secondo alcuni, più precisamente, nel 1595. Già l’Abate Lanzi (1792), trattando della “scuola romana - epoca quarta”, lo citava nel paragrafo dedicato a Giacomo Giorgietti di Assisi, di cui – scriveva – «leggesi il nome nella Descrizione della Chiesa di San Francesco a Perugia insieme con quello di Girolamo Marinelli suo concittadino e contemporaneo, che non lessi altrove né udii»1. Qualche tempo prima Baldassarre Orsini, nella sua Guida al forestiere per l’augusta città di Perugia (1748), soffermandosi anch’egli sulla descrizione del convento della chiesa di S. Francesco dei PP. Conventuali, indicava che «nel secondo chiostro sono dipinte a fresco cinque lunette colle azioni di S. Francesco. La prima all’entrare fu dipinta l’anno 1627. La seconda porta il nome scritto del suo autore, e l’anno 1630, in cui fu dipinta; è di Girolamo Marinelli, ed è opera poco buona». Numerose altre fonti locali antiche, dall’Angeli2 al Cristofani3, forniscono notizie sull’attività del Marinelli, citando puntualmente opere da lui realizzate, che tuttavia, anche dopo le più recenti e sistematiche ricerche sulla pittura assisiate del Seicento4, restano oggi difficilmente identificabili. Tali indicazioni rappresentano inoltre un’importante testimonianza della sua attività artistica, che lo vede impegnato per più di un ventennio, tra il terzo e il quinto decennio del secolo, tra le innumerevoli chiese umbre, lavorando ad affreschi, tele e stendardi. La formazione artistica di Girolamo Marinelli avviene verosimilmente tra Assisi e Perugia entro il primo quarto del secolo, in un momento in cui il carattere sostanzialmente conservatore di molta pittura umbra seicentesca, legata ancora all’opera di Cesare Sermei, iniziava a uscire lentamente dalla tarda maniera con l’opera di Cristoforo Roncalli e poi con Antonio Circignani, detto il Pomarancio, arrivando alla generazione successiva, coetanea del Marinelli, rappresentata da Giacomo Giorgetti e Girolamo Martelli, ormai attratta dai modelli romani di pieno Seicento. E non c’è dubbio che, seppur non sia stato ancora confermato un soggiorno a Roma, il Marinelli guardasse comunque con interesse le novità che, nel primo ventennio del secolo, da Roma giungevano in Umbria attraverso il coinvolgimento di artisti forestieri nei molti cantieri in corso ad Assisi, in primis quello della basilica di Santa Maria degli Angeli. La firma, «Girolamo Marinelli romano pi[n]geba[t]», apposta in corrispondenza del basamento del trono su cui è seduta la Vergine Maria nella tela realizzata per la chiesa di Santa Marta di Sordevolo5, ne è testimonianza straordinaria. Assume infatti un duplice valore, lasciando indelebile prova della mano del nostro pittore che, definendosi “romano”, tace i propri natali e dichiara la propria provenienza culturale, con la speranza, forse, di dar maggior credito alla propria attività e di ottenere così future commissioni. Sebbene non datata – e in questo non aiuta neppure il Libro dei Debitori della chiesa stessa, pur citando la spesa per il «tellaro del quadro fatto far in Biella per la pittura di n.ra donna con lo figlio in brazzo, SS.ti Ambr. e Marta» –, ritengo che l’opera possa verosilmente ascriversi al biennio 1626-27, anni in cui le fonti documentali rendono prova della presenza e dell’attività del Marinelli a Biella6. Al 1626 risalgono infatti una serie di lettere, 7 datate tra il 28 aprile e il 5 settembre dello stesso anno, intercorse tra l’artista, il conte Sebastiano Ferrero7 e sua moglie Ottavia Solaro di Moretta. Prima ancora di fornire informazioni sull’attività artistica del Marinelli, tali documenti, insieme ad altre preziose carte d’archivio emerse nel corso delle ricerche, ci restituiscono la dimensione del profondo rapporto instaurato con la famiglia Ferrero oltre che fornire interessanti informazioni biografiche. In una sua del 2 giugno 1626 indirizzata al conte Sebastiano Ferrero8, il Marinelli dichiara che sebbene «io sino hora non ho mai significato il mio animo a Vs. la quale sebene l’ho sempre tenuto per quelli a cui ho fondato ogni mia speranza e aggiuto ho però sempre preferito il suolermi ad ogni mio interesse come è debito di un fedele servitore», prosegue confidandogli quel «secretto che adanima vivente fuori di Vs. non avrei manifestato», di essersi cioè «affettato di una giovane di nome Lucrezia cogina di Frichignone di honoratissima conditione e di honore parentile». Girolamo sposerà Lucrezia Ricetto di Masserano entro l’anno, in data 14 ottobre 1626, presso la chiesa di San Giacomo al Piazzo, la stessa dove battezzeranno, esattamente nove mesi più tardi, il 7 luglio 1627, il primogenito Pietro Alessandro9. E ancora, alla fine del 1627 la presenza a Biella di Girolamo è testimoniata da un atto dell’insinuazione con cui il notaio Villanis di Biella conferisce a Lucrezia parte della propria dote, che verrà poi liquidata nel 1649, con atto notarile del 30 aprile, «in burgo Masserani», nello stesso anno in cui ritroviamo testimonianza di un secondo soggiorno biellese del pittore, giustificato forse più da questioni personali che di lavoro10. Già a partire dalla prima lettera del 28 aprile si trovano interessanti accenni alle opere che l’artista avrebbe realizzato, su commissione, per la famiglia Ferrero e in particolare ai «ritrati deli Cardinali» (fig. 2). È noto infatti che la famiglia Ferrero vantasse, entro la seconda metà del Cinquecento, ben cinque cardinali: Giovanni Stefano (1474-1510), Bonifazio (1476-1543), Filiberto (1500-1549), Pietro Francesco (1510-1566) e Guido (15371585), tutti figli o nipoti di Sebastiano di Besso Ferrero. È dunque possibile che Sebastiano avesse richiesto al Marinelli la realizzazione dei cinque ritratti, per mantener viva la memoria, non rara consuetudine, delle carriere ecclesiastiche della propria famiglia. Cinque ritratti dei cardinali Ferrero sono oggi noti, divisi tra il Museo del Territorio Biellese e il Palazzo Ferrero Fieschi di Masserano: legati non soltanto dalla corrispondenza delle dimensioni, essi si presentano come un corpus piuttosto omogeneo, sia da un punto di vista stilistico, sia per la composizione e la resa pittorica. Riportano immediatamente alla ritrattistica ecclesiastica che da metà Cinquecento elabora quella riconoscibile impostazione di tre quarti, iniziata da Raffaello e replicata poi frequentemente da numerosi altri pittori, con il soggetto ritratto comodamente seduto, talvolta con in mano una lettera o un libro, che spinge inevitabilmente ad un nuovo confronto con i modelli romani. Raffrontati con la tela di Sordevolo, i cinque ritratti trovano affinità con i marcati tratti fisionomici dei volti dei santi e nelle analoghe modalità di trattare i panneggi, sottolineati da pesanti pieghe, tanto da permettere l’ipotesi di accostarli alla mano del Marinelli11. Ma veniamo ora all’attribuzione più interessante emersa allo stato attuale delle ricerche. La provenienza assisiate di Girolamo Marinelli, alla luce del rapporto instaurato con la famiglia Ferrero, potrebbe dare spiegazione della presenza – tra le dodici lunette che scandiscono la base della volta decorata a grottesche del Salotto Verde del Palazzo La Marmora di Biella – di una veduta di Assisi (fig. 3), che ritrae sulla sinistra la basilica di San Francesco e, in primo piano, la basilica di Santa Maria degli Angeli ancora in fase di costruzione. Nello stesso ambiente, così chiamato per il colore della tappezzeria, vi è poi un’altra lunetta in cui, a differenza delle dieci restanti, è stato possibile riconoscere una seconda veduta reale, uno scorcio di Biella (fig. 4), con la torre del palazzo dei Ferrero, la chiesa di San Domenico e, sulla collina opposta, il convento di San Gerolamo. Biella versus Assisi, una scelta forse da leggersi in chiave simbolica. La veduta di Assisi potrebbe essere considerata al pari di una firma d’artista; il Marinelli avrebbe dunque scelto un’insolita via per sottolineare il rapporto tra la propria città d’origine e Biella, città d’adozione e degli affetti, in cui aveva preso moglie e battezzato il figlio primogenito. Tuttavia, dall’identificazione della veduta assisiate, proposta da Andrea De Marchi12, la critica si era già spinta a proporre l’attribuzione delle grottesche della volta ad una personalità artistica di cultura centroitaliana13 (fig. 5). In effetti le decorazioni biellesi possono trovare un convincente confronto con analoghe grottesche che decorano alcuni ambienti di palazzi assisiati. Già alcune fonti locali, come il Cristofani, che ricordava una «sala di paesaggi e decorazioni del Marinelli», citavano il pittore coinvolto, accanto al Giorgetti e al Martelli, nella decorazione degli ambienti del Palazzo Vescovile. Ma sono le grottesche di Palazzo Giacobetti, oggi noto come Palazzo Vallemani, attuale sede della Pinacoteca Comunale di Assisi, che trovano un preciso parallelo con quelle biellesi: anch’esse di autore ignoto, sebbene in passato accostate su base stilistica alla mano di Prospero Orsi, presentano tra loro analogie stilistiche e compositive che non possono passare inosservate14. Ritengo dunque, alla luce di queste corrispondenze, che la decorazione della volta di Palazzo La Marmora15 debba essere verosimilmente attribuita a Girolamo Marinelli e che, in un secondo tempo, si potrebbe prendere in considerazione anche l’ipotesi di un suo intervento per quelle assisiati. La riscoperta dell’attività biellese di Girolamo Marinelli assume dunque un duplice valore alla luce delle novità che aggiunge alla storia artistica locale e, ancor più, a quella umbra, che può così inserire una postilla al catalogo, ancora molto esiguo, delle opere conosciute del Marinelli. Se ancora tutto da studiare è il secondo soggiorno biellese, registrato a Masserano nel 1649, restano poco chiare anche le motivazioni del suo arrivo nel Biellese – certamente diverse dal percorso noto dello Zuccaro –, alla cui origine tuttavia potrebbe non essere stato estraneo un incontro romano con Guido Ferrero, fratello di Sebastiano, che nel primo quarto di secolo a Roma aveva vissuto.
Questo articolo è stato pubblico sul numero di aprile 2009 di Rivista Biellese Riferimenti www.docbi.it
Fig. 1. Girolamo Marinelli, Madonna con Bambino e i SS. Ambrogio e Marta, olio su tela, 1626 (Sordevolo, chiesa di Santa Marta. Archivio Parrocchiale di Sordevolo)
Fig. 2. Girolamo Marinelli (attr.), Ritratto di Guido Ferrero, olio su tela, 1626 (Biella, Museo del Territorio Biellese. Archivio fotografico Museo del Territorio Biellese)
Fig. 3. Girolamo Marinelli, Veduta di Assisi, affresco, 1626-27 (Biella, Palazzo La Marmora, Salotto Verde. Archivio fotografico Centro Studi Generazioni e Luoghi. Fotografia di Damiano Andreotti)
Fig. 4. Girolamo Marinelli, Veduta di Biella, affresco, 1626-27 (Biella, Palazzo La Marmora, Salotto Verde. Archivio fotografico Centro Studi Generazioni e Luoghi)
Fig. 5. Girolamo Marinelli, Grottesche, affresco, 1626-27 (Biella, Palazzo La Marmora, Salotto Verde. Archivio fotografico Centro Studi Generazioni e Luoghi. Fotografia di Damiano Andreotti)
1 Le lunette dipinte nel chiostro di San Francesco al Prato (oggi cortile dell’Accademia di Belle Arti), esistono ancora ma molto danneggiate. Ringrazio il prof. Bruno Toscano per questa informazione. 2 Francesco Maria Angeli, Collis Paradisi amoenitas seu sacri conventus assisiensis historiae, libri II, Montefalisco 1740. 3 Antonio Cristofani, Le storie di Assisi. Libri sei, Assisi 1875, consultato in ed. 1959, p. 553-554. Lo storico assisiate ricorda il Marinelli come collaboratore del Sermei in più di una occasione e cita una decina di sue opere fra le quali un affresco in San Francesco al Prato di Perugia (1630), lo stendardo di San Biagio (1656), un affresco nella confraternita di San Lorenzo ed alcuni affreschi nel palazzo vescovile ad Assisi, ove il Marinelli avrebbe lavorato col Giorgetti e il Martelli. 4 Cfr. AA. VV., Pittura del ’600 e ’700. Ricerche in Umbria, 2 voll., Libreria editrice Canova, 1980. AA.VV., Pittura del Seicento. Ricerche in Umbria, catalogo mostra, Spoleto, Electa, Editori Umbri Associati, 1989. 5 La tela raffigura la Madonna con il Bambino e i SS. Ambrogio e Marta. Cfr. Delmo Lebole, Storia della Chiesa Biellese. Le Confraternite, vol. I, Biella 1971, pp. 367-371. Desidero ringraziare padre Luciano Acquadro, parroco di Sordevolo, per la disponibilità dimostrata e per avermi messo a disposizione il materiale fotografico e la relazione del restauro condotto da Nicola Restauri e concluso nel biennio 2004-2005. 6 A riprova di un suo precoce ritorno ad Assisi, si conserva in ASB, Fondo Ferrero. Corrispondenza, una lettera datata 1° dicembre 1630, che Marinelli da «Assisi città di San Francesco» scrive a Sebastiano Ferrero. 7 ASB, Fondo Ferrero. Corrispondenza. 8 Sebastiano Ferrero (1576-1650), figlio di Giangiorgio di Gian Stefano Ferrero, figlio di Gian Enrico, fratello del più conosciuto Sebastiano Ferrero (1438-1519). Sposa in prime nozze (1593) Caterina di Filiberto di Masserano e in seconde nozze (1620) Ottavia di Carl’Emanuele di Solaro. 9 Desidero ringraziare, per la segnalazione, mons. Delmo Lebole, e il comm. Mario Coda per avermene permesso la consultazione. Segnalo inoltre che, come testimone di nozze e padrino di battesimo, viene citato Filiberto Ferraris, cugino di Sebastiano Ferrero. Una notizia ulteriore relativa al matrimonio emerge da un’altra lettera, scritta da Ottavia Solaro di Moretta a suo marito Sebastiano, in cui si parla di certi «dinari» che Marinelli «voliva per maritarsi». 10 ASB, Insinuazione di Biella, vol. 29. ASB, Atti dei Notai del Distretto di Biella, primo. 11 In aggiunta ai «quadri dei Cardenali», troviamo notizia, nella lettera del 10 maggio 1626 che Sebastiano scrive alla moglie, della realizzazione di una «madonna simile a quella che si ha già fatto levata da Santo Sebastiano» e la richiesta che «s’havesse qualche altro quadro copiato da quelli del Ricardi», di cui prendo nota senza tuttavia poter risalire all’identificazione delle opere citate. 12 Francesco degli Alberti La Marmora, Vedute di Castelli e paesi nella Sala dei Castelli e nel Salotto Verde di Palazzo La Marmora a Biella, in Luigi Spina (a cura di), I castelli biellesi, Silvana Editoriale, Milano 2001, pp. 165-173. 13 Cfr. Vittorio Natale (a cura di), Arti figurative a Biella e a Vercelli. Il Seicento e il Settecento, Eventi & Progetti Editore, Biella 2004, p. 25. 14 Cfr. AA.VV., La pittura del ’600 e del ’700. Ricerche in Umbria, Libreria Editrice Canova, 1980, vol. 2, tav. 137. 15 Il grande stemma, inserito al centro della volta, ricorda il doppio matrimonio di Sebastiano Ferrero con Ottavia Solaro e di Margherita Ferrero, figlia di Sebastiano, con Carlumbertino Solaro, fratello di Ottavia, celebrato nel 1620. La data «A.D. MDCXXIII» che compare poco più sotto non ricorderebbe alcun fatto significativo della storia della famiglia. Ritengo che la data riportata non vada a interferire con l’attribuzione appena proposta dal momento che intorno ad essa vi è sempre stata un po’ di confusione. Alessandro Roccavilla, ad esempio, nella sua Arte del Biellese del 1905 riportava ancora un’altra data, quella del 1636. |